L’obiettivo è individuare per tempo i casi sospetti. Il presidente Cricelli: “Oggi solo il 30% delle vittime parla degli abusi con i camici bianchi. Bastano poche domande mirate durante la visita per far emergere il non detto”. Un opuscolo per sensibilizzare i professionisti e un’indagine su tutte le pazienti
Corrono un rischio doppio di depressione, abuso di alcol e psicofarmaci. Le donne vittime di violenza domestica nel nostro Paese sono circa 15.000 ogni anno, ma il fenomeno è sottostimato. Solo il 30% delle vittime parla con il proprio medico di famiglia della violenza subita, perché pensano che non se ne occupi e soprattutto perché non hanno ricevuto domande dirette sul tema.
Le conseguenze possono essere devastanti, perché, anche se si è liberata del proprio aggressore, la donna continua a percepire, in molti casi, la propria salute come negativa.“Grazie al nostro rapporto continuativo con le assistite – spiega il dott. Claudio Cricelli, presidente SIMG –, possiamo diventare le sentinelle contro la violenza sulle donne. Il progetto si articola in diverse iniziative.
- Verrà distribuito un opuscolo informativo a 30.000 camici bianchi: troppo spesso la mancata conoscenza e la sottovalutazione del fenomeno inducono i professionisti a ignorare i segnali d’allarme.
- È importante che il medico di famiglia pratichi lo ‘screening’ su eventuali abusi e due sono le domande fondamentali da porre alla paziente: ‘Si sente mai insicura in casa sua?’ e ‘Qualcuno ha mai provato a picchiarla o a farle male?’.
- È essenziale cioè far emergere il problema attraverso il colloquio clinico, per poi registrarlo nella cartella informatizzata, così otterremo i dati di incidenza del fenomeno.
- Inoltre, dobbiamo aiutare le pazienti fornendo loro informazioni sulle reti di sostegno locale (numero verde, centri antiviolenza). E sensibilizzarle attraverso l’esposizione nella sala d’aspetto di poster informativi con i riferimenti delle organizzazioni locali preposte all’aiuto”.
Nel 2012 in Italia sono state uccise 124 donne. Il 69% era italiano così come il 73% degli assassini. Il 60% dei femminicidi è avvenuto tra persone che avevano una relazione di affetto e fiducia e nel 63% dei casi il reato si è consumato in casa o della vittima o di un familiare.
- abbiamo dedicato attenzione alle parole dette dalle nostre pazienti?
- Abbiamo raccolto i segnali che alcune hanno trovato la forza di mandarci?
- Conosciamo i codici del linguaggio necessario per affrontare il tema della violenza, come richiesto da qualsiasi altro problema clinico?
- Siamo in grado di accogliere la sofferenza di queste pazienti?
Se il medico di medicina generale prendesse coscienza dell’alto numero di donne tra le sue pazienti che potrebbero aver subito uno o più episodi di violenza domestica, presterebbe maggior attenzione nel riconoscerne i ‘campanelli d’allarme’, rappresentati dall’aumento dei problemi della sfera genitourinaria, ginecologica e gastroenterica, da mutamenti in senso negativo dell’umore e dalla perdita dell’autostima. In realtà la mancata conoscenza del fenomeno e l’enorme carico di lavoro quotidiano legato alle patologie croniche, rendono difficile per il professionista individuare i segni indiretti di qualche forma di abuso”.
La relatrice speciale delle Nazioni Unite nel giugno 2012 ha rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni per la forte preoccupazione causata dal numero di femminicidi, per il persistere di tendenze socio culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica e per l’assenza del rilevamento dei dati sul fenomeno.
La violenza può assumere varie forme: psicologica, fisica, economica (impegni economici imposti, controllo o privazione del salario), sessuale, fino allo stalking.
Ufficio stampa Intermedia
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