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Parità di genere nel diritto alla salute

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Che cosa si intende per medicina di genere?

Includere un’ottica di genere nella medicina non significa tenere conto delle malattie che colpiscono prevalentemente le donne rispetto agli uomini, ma dell’influenza del sesso (accezione biologica) e del genere (accezione sociale) sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica di tutte le malattie, per giungere a decisioni terapeutiche basate sull’evidenza sia nell’uomo sia nella donna.

La sua nascita è recente. Solo nel 1991 venne condotto il primo studio su un gruppo di donne affette da patologie cardiologiche, che mise in evidenza l’atteggiamento discriminatorio della ricerca nei confronti delle donne. Ne emersero un maggior numero di errori diagnostici, meno cure e più interventi chirurgici non risolutivi a carico delle donne.

Da qui ci sono voluti più di dieci anni perché fosse istituito il primo corso di medicina di genere, nel 2002, presso la Columbia University of New York.

Un altro notevole passo avanti? Paragonare il DNA a uno spartito musicale composto da pause, note, tonalità precise per ogni strumento dell’orchestra. In sostanza, nel DNA dell’uomo e della donna la melodia è la stessa, ma viene espressa in modo diverso in base al genere.

L’essere donna, dunque, è una specificità che la sperimentazione è chiamata a tenere in considerazione per promuovere una medicina che riconosca adeguatamente le pari opportunità di salute per l’uomo e per la donna.

Perché è così importante la ricerca al femminile?

Secondo i dati dell’indagine ISTAT del 2 marzo 2007, l’8,3% delle donne italiane denuncia un cattivo stato di salute rispetto al 5,3% degli uomini; le donne, però, sono più attente alla loro salute e si sottopongono con più frequenza a controlli di prevenzione rispetto agli uomini. Le donne sono al primo posto nel consumo di farmaci, in particolare nella fascia di età compresa  tra i 15 e i 54 anni, ma sono poco rappresentate negli studi clinici o farmacologici.

Inoltre, sempre nel 2007, la Rete Nazionale di Farmacosorveglianza ha rilevato che le segnalazioni spontanee di reazioni avverse ad alcuni farmaci nelle donne costituiscono il 57% del totale. Tra queste, ad esempio, gravi aritmie, scompensi cardiaci e fratture di arti indotte dai farmaci, anche di largo consumo.

Qualche motivazione

Il dosaggio dei farmaci è misurato su uomini (di peso di 70 kg circa): la donna è considerata una “variazione” di questo standard. In questo modo, però, non si tiene conto sia di una diversità di tipo farmacocinetico, ossia il diverso modo in cui il farmaco viene assorbito, distribuito, metabolizzato ed eliminato, sia di una differenza di tipo farmacodinamico, ossia la diversa risposta del corpo a una data concentrazione di farmaco nel sangue o nel tessuto.

Persistere con protocolli di sperimentazione che non tengono conto della distinzione tra uomo e donna, significa, inoltre, non considerare come gli ormoni femminili possono interferire, annullandone l’effetto, con molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici. Tutti farmaci che continuano a essere prescritti, senza un’adeguata sperimentazione.

Per una medicina che tenga conto del genere è necessario:

  1. basare la ricerca e la sperimentazione farmacologia su condizioni di parità, includendo sia uomini sia donne, senza esclusioni o marginalizzazioni indebite.
  2. Sollecitare le autorità sanitarie e le aziende farmaceutiche perché sostengano progetti di ricerca sull’argomento.
  3. Promuovere la partecipazione delle donne ai trial clinici, con un’adeguata informazione sull’importanza sociale della sperimentazione femminile.
  4. Investire in una formazione sanitaria che sia attenta alla dimensione femminile anche nell’ambito della sperimentazione farmacologica. L’approccio parziale di una medicina non attenta alle differenze di genere ha dominato a lungo la ricerca farmacologia, escludendo le donne dalla sperimentazione di farmaci, nonostante queste siano le maggiori utilizzatrici, ed esponendole ad effetti collaterali non adeguatamente riscontrati.
  5. Rendere le donne protagoniste: non solo come oggetti della sperimentazione (ossia come caso di studio clinico), ma anche come soggetti, ovvero persone attive nell’equipe medica che progetta e definisce l’iter dello studio e nei comitati etici che valutano i protocolli di sperimentazione.

 

 a cura di Francesca Del Monaco

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